Amici del Castello - Vinovo
Breve storia dei chiostri e dei cortili interni
Fin dall’antichità in ambiente mediterraneo le case a pianta centrale o a pianta mesopotamica, con cortile interno, sono una tipologia molto diffusa. Le prime sono caratteristiche dell’area occidentale, e ne è esempio principe la casa greca a peristilio, poi passata alla romanità: in essa tutte le stanze si affollano intorno ad un cortile quadrato, circondato da un corridoio porticato e caratterizzato al centro da una vasca (o impluvium) per la raccolta delle acque piovane, convogliate in essa dal tetto a falde inclinate verso l’interno. Le case mesopotamiche, tipiche invece dell’area mediorientale, sono costruite con una forma a U e racchiudono al centro un cortile privo di strutture fisse, che da direttamente sulla strada. Entrambi i modelli vedono però nel cortile un ambiente importantissimo della casa, dove si svolgevano moltissime attività domestiche e dove si passava la maggior parte della giornata.
La casa a peristilio si evolve poi nel medioevo, quando diventa un elemento essenziale degli edifici monastici: il chiostro. Luogo importante della vita monacale, il chiostro era lo spazio dove, immersi nella meditazione, i monaci potevano passeggiare, nei momenti liberi dalla preghiera e dal lavoro, ed eventualmente conversare quando non vigeva la regola del silenzio.
Il cortile porticato si inserisce anche nell’architettura dei castelli e palazzi signorili, come elemento sia funzionale che decorativo. Il portico era luogo di passaggio e di lavoro, mentre il cortile vero e proprio, solitamente di forma quadrata o rettangolare, ospitava il pozzo ed era decorato secondo la moda del periodo, con pitture o rilievi plastici. Con le aiuole geometriche e le piante, ricreava un piccolo parco all’interno degli edifici dove le dame potevano passeggiare, mentre il pozzo assicurava l’approvvigionamento idrico e la decorazione esaltava lo stemma o i simboli araldici della casata. Inoltre il cortile scoperto contribuiva a portare la luce all’interno dei manieri, dove l’illuminazione era assicurata solo da candele, lampade e finestre, spesso schermate nei periodi più freddi per trattenere il calore nelle stanze.
4. Il cortile interno
Il cortile interno del castello s’imposta su una pianta trapezoidale dovuta alla planimetria irregolare dell’interno del castello. L’irregolarità viene mascherata da un accorgimento ottico, la variazione delle campate del portico, che porta ad avere lo stesso numero di colonne sui lati, ma intercolumni differenti che però sfuggono alla vista. L’ordine inferiore,originale del 1500, è impostato da arcate sostenute da pilastri. Al disopra una trabeazione tripartita (formata da un architrave a due fasce,da un fregio liscio che ospitava un tempo dei dipinti e da una cornice) s’innesta l’ordine superiore, pesantemente modificato tra XVIII e XIX secolo, che doveva originariamente essere formato da doppie arcatelle in corrispondenza delle arcate sottostanti, o forse a loggiato con architrave e false colonnine sempre innestate a coppie sopra gli archi del primo ordine. L’architettura del loggiato richiama l’”ordine trionfale” tipico degli archi romani, in cui le architravi aggettano in corrispondenza delle lesene soprastanti i pilastri.
L’apparato decorativo tende ad identificare la struttura portante ( i pilastri, gli archi, l’architrave) con la struttura visiva, rivestendola con formelle decorative in cotto. L’uso del cotto è significativo in un edificio come il castello di Vinovo: si tratta di un materiale strettamente legato alla produzione locale, come dimostrano le fornaci attive ancora nel XIX secolo per la produzione di mattoni, nonché i gress, terrecotte e maioliche di produzione gioaettiniana La scelta cadde quindi su una materia prima che non soltanto era utilizzata nel Rinascimento, ma rispondeva anche a criteri di economicità e facile reperibilità.
La decorazione fittile si compone dell’architrave, delle formelle che rivestono gli archi, delle mensole su cui gli archi si appoggiano, delle lesene con relative basi e capitelli nonchè di coppie di medaglioni ai lati dei capitelli I temi riecheggiano la tradizione classica, come voleva il gusto rinascimentale: le lesene, i capitelli ed i fregi mostrano un fiorire di foglie e sviluppi d’acanto in una rielaborazione dello stile corinzio che si rifà all’esperienza lombarda del secolo precedente. I tondi che occupano i pennacchi delle arcate ospitano invece i profili affrontati dai tre personaggi, uno femminile, e due maschili, che possiamo riconoscere grazie alla monetazione romana. Si tratta di Nerone, Galba, e della figura della “libertas restituita”: figure che si inseriscono in una precisa scelta iconografica, molto diffusa in quel tempo nelle dimore nobiliari e soprattutto giuristi.
L’accento posto su Galba richiama sicuramente il suo ruolo di “restitutor libertatis” e si intreccia alla figura della “libertas restituta” in una forte rivendicazione legalitaria, mentre la leggenda che collega lo stesso Galba al simbolo della ghianda ha sicure correlazioni con l’immagine araldica della famiglia dei Della Rovere. Il tema civile libertario era inoltre accompagnato dalla decorazione pittorica raffigurante un thiasos marino , esplicitamente classicheggiante ma con un sottointeso significato allegorico morale espresso dai delfini (animali psicopompi), dalle mascherine leonine (con richiamo cristologico) e da tutta la composizione.
L’apparato decorativo e l’impostazione architettonica s’inseriscono nel contesto culturale lombardo, con elementi di richiamo anche in ambiente Genovese (ricordiamo i legami di parentela della famiglia Della rovere con l’omonima famiglia Genovese). L’uso del cotto rimanda però alla tradizione milanese del XIV secolo, ed è quindi un ulteriore rivolgersi verso il passato. L’intero corpus decorativo è inoltre confrontabile con i programmi iconografici dei palazzi romani e non, appartenenti al cardinale Domenico Della Rovere, che si avvaleva proabilmente sempre delle stesse maestranze, come sembra confermare la scoperta degli affreschi del Pinturicchio a Vinovo.